Musica.
Cosi Laura vedeva scorrere quell’ordinaria mattina davanti ai suoi occhi. Cappellino, casco, sciarpa, copertina, guanti, I-Phone, auricolari, brani in sequenza casuale.
Musica.
Ogni movimento era scandito dalla musica, ogni persona che si muoveva in quell’inizio di giornata camminava, correva, telefonava, sorrideva, gesticolava, guidava dentro la musica, confondendosi nelle note, nelle melodie di una canzone.
Cosi, anche una qualsiasi tangenziale con lavori in corso e sopraelevate non ancora terminate, puzzolente di gasolio e malata di traffico, poteva diventare un inedito film, le cui sequenze musicali venivano amplificate dalla sua immaginazione. C’era un cielo terso quella mattina, un’aria fredda e frizzante, caratterizzata dalla mancanza di profumi, tipica dei mesi invernali.
Erano dodici anni che Laura percorreva quella strada. Avrebbe potuto chiedersi perché, da dodici anni, d’inverno, d’estate, a primavera, in autunno percorreva sempre la stessa strada. “Perche la mia vita è sempre uguale” – sarebbe stata la risposta più ovvia – “ e finché non cambierò vita… la strada resterà sempre la stessa…”.
Aveva fatto il suo ingresso in città. Era ferma al solito semaforo. Alla sua destra la casa provenzale, quella dove buttava sempre un occhio per vedere se dalle finestre fosse riuscita a percepire una parvenza di vita. Perché le piaceva da matti quella casa e le sembrava impossibile che quelle finestre fossero sempre chiuse, senza un fiore ad incorniciarle, un respiro che si potesse percepire dietro ai vetri.
Verde.
Qualche centinaio di metri e sarebbe passata di “lì”. Forse “lì” per un po’ di tempo Laura non ci era più passata. Svoltava prima. Faceva il giro un po’ più lungo. Tanto… le strade per arrivare in centro erano sempre le stesse. L’alternativa alla circonvallazione interna che porta ad abbracciare San Babila, era Piazza Castello, che, costeggiando Brera, avrebbe creato l’imbuto obbligatorio verso Piazza Della Scala, fino al Duomo.
Ma quella mattina Laura non aveva fatto alcuna svolta, non potendo comunque fare a meno di immaginare che da quella strada sarebbe potuto uscire lui, o anche quell’altra, che aveva costruito la sua dimora sulle macerie di un amore percorrendo adesso quella strada da regina.
Ma Laura quel giorno ci era passata davanti cosi, senza pensare. Punto. La svolta. Quella che non si era mai data, ma che avrebbe voluto dare definitivamente alla sua vita. La svolta.
Le ruote dello scooter inghiottono il cemento, lo divorano velocemente.
Musica.
La sequenza casuale le piace perché riesce ad alternare nei suoi ricordi attimi di potente nostalgia a pura energia dinamica. Corre, con la musica infilata nelle orecchie, le orecchie infilate nel cappello di lana, il cappello di lana infilato sotto il casco, gli occhiali scuri infilati da qualche parte anche loro, la sciarpa che le copre naso e bocca. Non si vedono nemmeno le gambe, nascoste sotto la copertina zebrata che ha comperato in sconto perché cosi vistosa non la voleva nessuno.
Inizia la parte pericolosa: quella delle telecamere e delle corsie riservate. Quella dell’imbuto che si stringe, che non può garantire nessuna puntualità nemmeno con la tempistica breve della moto. Cambia il brano. E mentre parte la nota di quella voce da brividi che li aveva accompagnati nel cammino del loro amore, lo vede sfrecciare al suo fianco, superarla, con la sua moto bianca che aveva fatto parte dei loro viaggi e che apparteneva a Luca più di qualsiasi altra cosa.
Ingresso annunciato nel suo spazio vitale. Ha 500 brani in impostazione casuale ma Luca passa sulla scia di quella canzone che gli appartiene. Nulla succede per caso. Lo ha pensato troppo e troppo ancora, passando davanti a casa sua.
Ma Luca non la vede. Luca non sa più di lei. Luca non sa che Laura ha comperato uno scooter, che lavora a cinquecento metri dal suo ufficio. Luca non sa che Laura non ha mai smesso di percorrere quella strada. Quella strada che faceva con lui innamorata, e poi ancora con lui disperata, e poi senza di lui mortificata e che poi avrebbe percorso senza di lui. Per sempre.
Eppure ora la stanno ripercorrendo insieme. Ma Luca non la vede. E’ impegnato a falciare il traffico con la potenza del suo motore. Laura gli sta dietro, mentre la canzone, la loro canzone passa dagli auricolari al suo sangue e urla. “Dio, che bello che mi hai fatto tornare indietro. Adesso siamo ancora noi due insieme a ripercorrere questo asfalto, in una mattina di febbraio, quello stesso giorno di febbraio in cui ci lasciammo”
Era il 18 febbraio del 2008.
E’ il 18 febbraio del 2015.
“Ferma il tempo.
Ferma la tua moto,
ferma la mia,
ferma il vento,
ferma i palazzi,
ferma la vita,
ferma i ricordi.
Ferma l’amore….”
Le auto soffocano il passaggio. Non c’è spazio per passare ne a destra ne a sinistra. Ma Laura è ancora dietro di lui, talmente vicina che lo specchietto retrovisore le rimbalza l’immagine del viso di Luca. Potrebbe allungare una mano e accarezzare il suo giaccone che abbracciava nelle fredde mattine d’inverno in cui raggiungevano l’ufficio insieme, quello stesso giaccone appeso negli armadi che avevano raccolto la loro condivisione di vita.
Ma Laura era cambiata. Luca no. Luca e lo stesso casco. Luca e lo stesso giaccone, gli stessi guanti, gli stessi pantaloni, le stesse scarpe. Luca era ancora tutto completamente suo. Lo scooter di Laura è più piccolo e gimcana meglio nel traffico. Luca la supera veloce, ma lei lo riprende. E non stanno facendo la stessa strada per caso. E non è per caso che se Luca cerchi di infilarsi a sinistra e non ce la fa, poi arriva lei a destra ed è di nuovo davanti a lui. Ma lui non la vede e la canzone ancora non è finita. E ha i brividi perché sta sentendo la vita cosi intensamente che quasi, di prima mattina, ci si sta ubriacando.
Poi la moto bianca sparisce, è veloce ed il tram impedisce a Laura il sorpasso. Deve fermarsi.
“Ti ho perso. Ciao….. è stato bello incontrarti, questo stesso 18 febbraio. Quello stesso 18 febbraio in cui ti dissi “se non mi ami più lasciami andare”. Quello stesso 18 febbraio in cui tu risposi “Anche se ti amo ancora, ti lascio andare lo stesso…”
***
Ma è solo un attimo, un attimo di pensiero e lui è ancora li. Laura a destra dell’autobus, Luca a sinistra. “Aiuto, questo colosso mi schiaccia” accelera ed è ancora dietro di lui. Lo raggiunge al semaforo e sono di nuovo vicini. “Non voglio fermarmi al tuo fianco, cosi, troppo vicino, magari per vedere le tue rughe, il tuo sguardo o per sentire ancora il tuo profumo”…
E allora resta appena più indietro, quel tanto da nascondersi nell’ombra, l’ombra in cui si era rifugiata per sette anni. Sette anni che, ferma a un semaforo, sembrano aver appena accarezzato il suo fugace tempo passato senza di lui. E mentre sfuma l’ultima nota di quella canzone… e Luca….. Luca si gira.
Si gira lentamente e la guarda. Si gira perché hai sentito il suo odore, quello che avrebbe potuto sentire solo lui, nel fetore di questo traffico. Si gira e la guarda perché il tempo gli ha sussurrato all’orecchio un ricordo. Si gira e la guarda perché nel suo pensiero gli è apparso il viso di Laura. Si gira a guardarla perché Laura ha fermato l’amore.
“Ti giri a guardarmi perché questo è il miracolo della vita.”
Luca la osserva cercando in quella donna che non riconosce un dettaglio d’amore. Ma non lo trova. Non conosce quello scooter, non conosce il casco nuovo che Laura si è appena comperata, e non può riconoscere nemmeno le sue lunghe e magrissime gambe che ha tanto accarezzato, perché anche quelle sono nascoste dalla copertina zebrata.
Il viso è coperto dalla sciarpa, la giacca tecnica l’ha appena comperata. Eppure Luca non smette di guardarla.
E Laura vorrebbe sorridergli. Perché dentro al suo sorriso Luca ritroverebbe il ciclo della vita, la forza dell’amore. Ma Laura non sorride.
Verde.
Lei svolta a sinistra, Luca prosegue. Proseguì la sua strada senza di lei, come decise di fare il 18 febbraio del 2008.
“ Grazie. E’ stato bello rivederti. E’ stato bello risentire l’amore. Buona giornata.”
di Stefania Bonomi
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