Con lei ormai ci parlava.
Era un dialogo sottile, introspettivo, talvolta fragile.
Un dialogo vero, profondo. Unico.
La solitudine non aveva ormai da tempo questo nome.
La solitudine era una radio accesa,
le fusa della gatta sotto le coperte,
un raggio di sole che filtrava dalle finestre al risveglio,
una colazione fatta di pensieri organizzativi della giornata.
Con la solitudine a volte ci parlava ad alta voce.
I vicini di casa avrebbero potuto immaginare che spesso lei aveva ospiti
perché dalla cucina provenivano profumi di arrosti e salvia, di soffritto e sughi.
Il suo terrazzo fioriva di surfinie sempre più cascanti,
ogni giorno più curato che mai.
La sua vicina la sentiva cantare, ridere, parlare.
La vedeva uscire profumata e rientrare colma di sacche della spesa.
Ma lei però era sempre sola.
Un giorno smisero di sentire la musica e videro le surfinie soffrire per la siccità.
Dalla casa della donna sola non provenivano più profumi di cibo e musiche allegre e vitali.
Spesso le tapparelle restavano abbassate fino a sera e la gatta miagolava di richiami felini.
La vedevano ormai di rado entrare ed uscire e nel suo sguardo
non c’era più quella luce che caratterizzava un sorriso sereno.
Un giorno al suo fianco videro un uomo.
Un uomo che la teneva per mano.
Teneva per mano una donna diversa, stanca, smarrita.
Un giorno la vicina le chiese che cosa era cambiato nella sua vita.
E la donna rispose: “nulla.
Semplicemente ora non sono più sola”.
Di Stefania Bonomi
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